RUBICONE – (17 marzo 2005) - Male produzione e fatturato. Si salva chi produce la qualità. È quanto emerge dall’ultimo Rapporto sull’Economia 2004 nella nostra Provincia sulle calzature. Un documento, redatto dalla Camera di Commercio di Forlì-Cesena, che fotografa un settore per lo più concentrato nell’area del basso Rubicone. Dai numeri emerge che 332 sono le unità locali nel territorio, che occupano 2.585 addetti (7,8 addetti per unità locale) con una netta prevalenza delle donne. Il fatturato è stimato nell’ordine dei 500 milioni di euro con un valore aggiunto che si aggira sui 180 milioni di euro. Secondo il Rapporto “la difficile congiuntura evidenziata lo scorso anno è proseguita anche nel 2004: la produzione è diminuita del 6,8% rispetto al 2003, ma il grado di utilizzo degli impianti è stato leggermente più elevato (75,4%)”. Non solo: il fatturato è diminuito del 7,0% in termini correnti ed anche la domanda interna ha segnato una contrazione analoga (-6,9%). In contraddizione i dati sull’export in quanto “secondo le dichiarazioni degli intervistati, la domanda estera è aumentata del 16,0% ma nel contempo la percentuale di esportazione si è drasticamente ridotta al di sotto del 5% del venduto”. Con ogni probabilità “le vendite perse sui mercati europei sono state in parte compensate da quelle effettuate nei paesi asiatici fra cui la Cina”. Stabili i costi (+0,3%), così come i prezzi praticati ai clienti italiani (+0,3%) con una diminuzione dei listini per gli acquirenti stranieri (-1,0%). In calo il numero degli addetti nelle imprese (-4,6%), mentre in crescita è stato il ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni. Secondo il Rapporto, “le prospettive sono ancora negative specie se il rapporto di cambio fra euro e dollaro statunitense resterà a livelli elevati. In generale i calzaturifici italiani stanno perdendo quote di mercato e riducendo il numero degli addetti; le imprese della provincia di Forlì-Cesena si difendono meglio della media nazionale perché sono maggiormente strutturate e orientate all’export. I prodotti di alta qualità verso i quali la loro produzione è maggiormente propensa sono più difendibili dalla concorrenza dei produttori dei paesi emergenti e il ricorso alla delocalizzazione è più contenuto; è però difficile conciliare le dimensioni critiche per stare sul mercato internazionale, necessariamente grandi, e quelle, quasi artigianali, che la realizzazione di un prodotto di elevata qualità impone”.
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