Da oggi iniziamo a pubblicare alcune “favole” da un libretto che l'amico TARCISIO “MAZZINO” DELLA MOTTA ci ha consegnato.
È un libretto di FAVOLE di 55 pagine con 25 racconti brevi, si tratta di racconti che sono stati tramandati da padre in figlio.
In questa pubblicazione alcuni sono stati raccontati dal babbo Ezio Maioli al figlio Pietro, o addirittura raccontati nelle stalle e nelle veglie dal “Fulésta”, il raccontatore di favole e storie paurose e misteriose.
Altre fonti erano i cantastorie che nelle piazze raccontavano fatti realmente accaduti, magari un po’romanzati avvalendosi di cartelli disegnati.
Altro personaggio interprete di racconti e avventure veritiere, a volte con l’aggiunta di elementi di fantasia, era GIANNETTO FILIPPINI* un filo-sammaurese trasferito a Bellaria dove gestiva nella piazza centrale una macelleria.
Un personaggio ricordato nelle veglie (Al vèggi di cuntadòin) era “GIAPÒIN ad San Martòin di Mulòin” (Giapòin di San Martino dei Mulini RN) un tipo bislacco e stravagante del quale si raccontavano avventure strampalate e semiserie.
Un tipico personaggio Romagnolo alla “Biscein” il venditore di brustoline nel film Amarcord di Federico Fellini.
*Giannetto Filippini (1887-1966) sostenitore negli anni ’20 dell’annessione al Comune di San Mauro di Romagna del borgo marinaro di Bellaria.
In quegli anni Bellaria faceva parte del Comune di Rimini e Giannetto chiamava Bellaria “la vacca grassa di Rimini”, perché dai riminesi era solo sfruttata.
Giannetto era lo zio di Libia Maioli, moglie di Ezio Giorgetti. Grazie alla sua attività di macellaio e commerciante di bestiame aveva una ottima conoscenza delle valli del Marecchia e del Conca.
È proprio Giannetto ad indicare a Ezio Giorgetti villa Battelli a Pugliano dove troveranno rifugio gli ebrei che Ezio ha ospitato a Bellaria.
Ezio Giorgetti un Sammaurese-Bellariese che ha dato rifugio e salvato, a rischio della propria vita, un gruppo di circa quaranta ebrei.
Ezio Giorgetti è il primo Italiano, ripetiamo il primo Italiano, ad essere ricordato nel “Giardino dei Giusti” nello Yad Vashem a Gerusalemme.
Dopo questo breve preambolo pubblichiamo due brevi favole-racconti in dialetto Sammaurese con traduzione in italiano, che anche se favole lasciano un messaggio che la saggezza popolare tramandava con questi racconti.
Pubblicheremo in futuro altre favole-racconti.
Allegati: la copertina del libretto con Ezio Maioli nel 1982 a “Askhabad” in Turkmenia con giovani modelle turcomanne in una piazza della capitale, e la fotografia di Giannetto Filippini.
QUÈL CH'L’INSACAÈVA LA NÈBIA.
QUELLO CHE INSACCAVA LA NEBBIA.
Ui era di flaf in cla seraèda. Te mòintar ch’a caminèva a incuntrétt un stamb: un òm sòura un aèlbar.
Ai dmandétt:
“Sé ch’a faṣoi lasò bon òm, l’è brot témp, ui è una foschì?”
“An avdoi st’al bali -l’arspundétt- a voi insacàè tot la nèbia parchè la da dan m’i mi chémp”.
E ṣlargaèva st’al bali e pu u li lighéva cmè un malèt.
Ma bala sòura bala us rumpétt un rèm e e’ caschétt.
Al bali al s’arvétt e t un minéud ui fo piò nèbia cnè pròima.
Avdoi burdél un s’po’ andaè contra la natéura sinò un sérva a gnént e’ lavòur fat, e av arviné aènca al costi.
C’erano delle leggere coltre nebbiose in quella sera. Mentre camminavo incontrai un tipo strambo: un uomo sopra un albero.
Gli domandai:
“Cosa fate lassù buon uomo, è brutto tempo c’è una foschia?”
“Non vedete queste balle -rispose- voglio insaccare tutta la nebbia perché procura danno ai miei campi”.
E allargava questi sacchi e poi li legava come fossero bisacce.
Ma balla su balla si ruppe un ramo e lui cadde.
I sacchi si aprirono e in un momento vi fu più nebbia di prima.
Vedete ragazzi non si può andare contro la natura altrimenti non serve a niente il lavoro fatto, e vi rompete anche le costole.
L’AQUA, E’ FUGH E L’UNÒUR.
L’ACQUA, IL FUOCO E L’ONORE.
L’èra acsè un dè is artrova sti troi: l’aqua, e’ fugh e l’unòur.
E fa l’unòur me fugh:
“Tè t avnirè maènch o t un pòst o t un aèlt ma però e’ ven e su mumòint che tè t pu bruṣé”.
E pu dòp ui doiṣ ma l’aqua:
“E va bén ui sarà la sicità t avniré maènch ti fiéum, ti poz, ti turint ma però e’ ven e su mumòint che te t at fé ancòura avdòi, t’an mur!”
“Me invici an pòs faè cmè vuilt, mè a sò l’unòur e quand us è pardéu un ‘artòurna piò!”
Era così un giorno si ritrovarono questi tre: l’acqua il fuoco l’onore.
Fa l’onore al fuoco:
“Tu verrai meno o in un posto o nell’altro ma viene il momento in cui poi bruciare!”
Poi dice all’acqua:
“Va bene ci sarà la siccità verrai a mancare nei fiumi, nei pozzi, nei torrenti ma verrà il momento in cui ti farai ancora vedere, non morirai!”
“Io invece non posso fare come voi sono l’onore e quando lo si è perduto non ritorna più!”
Mauro Rossi e Giuseppe Casadei
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