La sera del 18 marzo, vigilia di San Giuseppe, nelle nostre terre della Romagna si ripete un rito antichissimo e suggestivo: l’accensione delle “focarine”. L’origine di questa consuetudine affonda le sue radici in un passato lontanissimo, quando le nostre terre erano state occupate da popolazioni di origine celtica, che festeggiavano la fine dell’inverno accendendo grandi fuochi, che nella concezione pagana del tempo, intendevano essere dei riti di purificazione della terra e della natura, per propiziare i nuovi raccolti.
L’avvento del Cristianesimo ha conservato questa tradizione, rivestendola di un nuovo significato religioso, legato alla figura di San Giuseppe: i fuochi nella notte servono per rischiarare il cammino dell’umile falegname, che conduce un mite asinello sul cui dorso è portata la Madonna e il piccolo Gesù, fuggiaschi dall’ira omicida del re Erode.
A questa motivazione devozionale, se ne aggiungono altre molto più concrete e spicciole legate al mondo contadino: alla fine dell’inverno bisogna pur bruciare la grande quantità di rami accatastati nei campi, dopo le potature invernali. Non solo, ma ogni tanto bisognava anche vuotare le stalle e le case dai tanti oggetti diventati ormai inutili e ingombranti. Nei paesi di mare come Cervia, Cesenatico, Rimini, la focarina viene fatta sulla spiaggia, raccogliendo la grande quantità di tronchi e rami portati dalle mareggiate.
Sta di fatto che dopo questi due ultimi anni segnati dalla pandemia e dal divieto di accendere roghi, il prossimo Sabato 18 Marzo va in onda questo antico e suggestivo spettacolo: al calar della sera, dovunque si gira lo sguardo si possono vedere in lontananza i fuochi che si alzano verso il cielo, fino a tarda notte. La gente poi si raduna volentieri attorno ai fuochi per fare festa: ciambella e albana a garganella, canti e sardoncini alla griglia…
A me sembra che, al di là della caratteristica “focarina”, c’è un elemento primordiale che ci attrae: “non c’è niente di più semplice e di più affascinante di un fuoco acceso nella notte, che brilla in una campagna solitaria, sotto un cielo stellato” (Lord Baden Powel).
Quante volte ho visto il fascino di questa scena negli occhi dei tanti ragazzi portati in campeggio, quando alla fine di una giornata di giochi e attività, si accende un fuoco e ci si dispone a cerchio seduti tutt’intorno. La fiamma viva che si muove con diversi colori, che si alza e si allarga, getta luce sui volti e riscalda, mentre tutto attorno si addensa la notte: quasi per magia i ragazzi si acquietano, cominciano a parlare sottovoce, fissano il fuoco in silenzio…
Che ci si trovi in una radura fra i boschi del nostro appennino, in aperta campagna, oppure in un piccolo campetto fra le case di una periferia, l’effetto è sempre lo stesso… nonostante internet e il potere straripante delle immagini digitali.
Un fuoco nella notte, e lo spettacolo continua.
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