di Filippo Fabbri
A San Mauro ci sono (c’erano) tre punti fermi: il distretto della scarpa, il poeta della cavalla storna, la classe di Bonandi. Il tavolo a tre piedi ne perde uno, quello sinistro vellutato del suo fantasista. Lo perde dopo dieci anni di militanza giallorossa, oltre 300 presenze, dieci sulle spalle e fascia di capitano al braccio, oltre 110 gol. “Una scelta personale dettata da ragioni private - spiega il giocatore con la sua solita timidezza quando è ora di tirare fuori le parole - E’ da tempo che meditavo l’addio, è stata dura dirlo al presidente (Cristiano Protti, ndr) ci ho messo un mese, quando l’ho fatto mi sono venute le lacrime agli occhi. Nessun attrito con la società, né con i compagni. Semplicemente scelte di vita personale mi hanno spinto in direzioni diverse”.
Bonandi non è stato un “semplice” giocatore, ma il simbolo di una Sammaurese capace in una decade di scalare le vette del calcio non professionistico che conta. Reduce da un doppio intervento alla caviglia nella Primavera del Cesena, due anni di stop lo avevano portato all’idea di fare basta. A convincerlo a calciare ancora un pallone era stato il tecnico Fusco Cono che lo porta a San Mauro in quegli anni in Prima categoria. È l’inizio di una rinascita, trascinatore di una squadra oggi al quinto anno in serie D. “Sono partito con questa società dalla Prima categoria arrivando alla serie D: chi mai lo avrebbe pensato? Chi avrebbe mai pensato dieci anni fa di giocare contro Parma, Cesena, Fermana, Rimini, Ravenna, Vis Pesaro e via dicendo; chi avrebbe mai pensato di andare su Sky, Mediaset e Striscia la notizia. E invece anno dopo anno siamo arrivati a fare tutto questo. Questa è una scelta non sofferta ma molto, molto di più. La Sammaurese non è una semplice squadra di calcio, ma la mia seconda famiglia, la mia seconda casa”.
Gli addii sono anche il momento dei bilanci. Come il gol più bello? “La rovesciata a Forlì. La partita più emozionante è stata Parma al Tardini quando abbiamo sfiorato il colpaccio. C’è solo una gara che giocherei di nuovo: lo spareggio contro la Ribelle”.
Poi i saluti. “Tutti ma proprio tutti, dai magazzinieri ai segretari, agli allenatori… Se devo citare alcune persone dico il presidente Cristiano Protti sempre un punto di riferimento per me, e le uniche due persone dello staff che hanno condiviso dieci anni con me, il massaggiatore Gigi Muccioli e Stefano Ugolini. Della squadra in particolare i due nomi storici Rosini e Scarponi. Poi due persone speciali: mio nonno Fabio mio primo tifoso e mia moglie Daniela che mi ha sempre supportato e sopportato dopo ogni partita”.