di Piero Maroni
Il “Cantar maggio”, era un'antica festa stagionale, forse più conosciuta come "Calendimaggio", deputata a celebrare l'arrivo della primavera, di qui, appunto, il riferimento esplicito al mese di maggio.
Era una festa che affondava le sue radici nelle cerimonie propiziatorie primaverili, attraverso le quali si cercava di ingraziarsi la natura per ottenere ottimi raccolti e, di conseguenza, scampare allo spettro della carestia.
Sembra che questa celebrazione risalga al tempo dei Celti, ma anche Etruschi e Liguri erano popoli che celebravano l'arrivo della bella stagione, essendo molto integrati con i ritmi della natura.
Si ricorda pure che tra la fine del mese di aprile e l'inizio di maggio si svolgeva anticamente a Roma una festa in onore di Flora, dea che aveva compiti di protezione delle piante e soprattutto degli alberi nel periodo della fioritura.
L'usanza di accogliere festosamente la stagione simbolo del ritorno alla vita e della rinascita della natura si diffuse poi in tutta Europa; dopo la "resurrezione" pasquale, c'era la necessità di rinvigorire le forze produttive della natura e con questo intento venivano piantate frasche, rami o addirittura alberi nei solchi dei campi, davanti alle stalle e davanti alle case, soprattutto quelle delle innamorate.
Protagonisti di questa festa, in quanto emblemi indiscussi del ritorno primaverile erano, ovunque, proprio gli alberi. Piantati in terra e proiettati verso il cielo rappresentavano in qualche modo l'essere umano ed era per questo che nella notte del 30 aprile gruppi di giovani si recavano nei boschi e ne asportavano o interi alberi, o rami verdi e fioriti e attaccavano questi alle porte o alle finestre delle ragazze come dichiarazione d'amore, oppure li piantavano nelle piazze del paese o nelle aie delle casa di campagna.
In alcune realtà, l'alberello (o il ramo) era chiamato "maio" o "maggio". Coloro che lo portavano venivano seguiti in corteo da ragazzini agghindati di fiori e foglie e con ramoscelli d'albero tra le mani.
Col trascorrere del tempo questa festa ha subito numerose modifiche fino a quasi scomparire, se ne trovano ancora manifestazioni in alcuni centri sparsi sull'Appennino Emiliano e Toscano, ma ovviamente senza più lo spirito originale.
Si racconta che molti anni fa in alcuni centri della provincia di Bologna, i ragazzi andavano di casa in casa recando rami di abete e cantando il "maggio" del buon augurio, ovvero canzoni dedicate alla buona riuscita del raccolto, alla salute dei padroni di casa, eccetera. Il ramo veniva poi lasciato alle ragazze di casa e, il giorno dopo, i ragazzi tornavano a prenderlo trovandolo adornato di nastri colorati: esso veniva poi collocato sull'abete più vicino alla casa visitata.
In quasi tutta la nostra regione, i ragazzi regalavano rami fioriti alle ragazze di cui erano innamorati dichiarando così i loro sentimenti, ancora oggi a Riolunato (sull'appennino modenese) la sera del 30 aprile le strade del paese risuonano dei canti dei ragazzi che vanno di casa in casa a rendere il loro omaggio alle famiglie delle loro amate: questa tradizione è chiamata il Maggio delle Ragazze. Sempre durante questa notte, alcuni decidono di dichiarare il proprio amore alle ragazze inviando come messi alle loro finestre dei "maggiolanti", preposti a far "l'ambasciata" e cantare canzoni d'amore alle belle di turno. I canti possono durare anche fino all'alba.
In Romagna, nelle campagne, i ragazzi piantavano un ramo di robinia fiorita davanti alla porta o alla finestra dell'amata. A Forlì e dintorni i ragazzi innamorati ornavano di fiori le finestre delle amate, vi si appostavano sotto e dedicavano loro canzoni: questa usanza veniva chiamata "majè".
“…nella notte d‘ingresso di tale mese, elettrizzandosi la gioventù, accorrono i giovani a cantare il maggio sotto le finestre delle loro favorite. Contemporaneamente si sentono torme di giovinette cantare canzoni ponendo sulle finestre ed alle loro porte rami di albero con fiori, come dire di avere piantato maggio” (Michele Placucci – 1818)
Anche nella nostra realtà, anticamente e in misura limitata, vi era l’usanza che al primo buio della sera tra l'ultimo di aprile e il primo di maggio, i giovanotti andassero a cantare serenate alle finestre delle ragazze, poi si cenava insieme con salame, frittate di vitalbe o cipolla pazza, aglio fresco e vino (da E' MAGNÉ – Roberto Giorgetti).
In prossimità però di case in cui abitavano ragazze scontrose e antipatiche, i giovanotti vi disegnavano con vernice nera delle civette come dileggio.
Spesso ci si ubriacava e la chiesa non tollerava queste espressioni ritenute troppo pagane e proprio per contrastare questa tradizione, dedicò il mese di maggio alla Madonna con l'invito a recitare il rosario in tutte le sere.
Non c'è dubbio che i festeggiamenti legati a questa ricorrenza abbiano subito in Italia un forte declino nel corso del tempo, soprattutto nel corso del 1800, e ciò da un lato per la contrarietà della Chiesa, dall'altro, perché più tardi il movimento socialista fece del primo maggio la festa dei lavoratori.
Per questo motivo il fascismo proibì il Calendimaggio, festa che comunque, rinacque nel dopoguerra, come rinacque l'antica usanza che voleva che alla mattina presto gli uomini innalzassero “l’albero di maggio”, di solito un pioppo o una betulla, che veniva adornato.
Difatti, molti ancora ricorderanno che solo qualche decennio fa nei nostri paesi al risveglio del mattino del 1° maggio, si notava al centro della piazza ergersi “la piòpa” (il pioppo era l’albero della libertà piantato in tante piazze al tempo della Rivoluzione francese perché il nome scientifico è Populos ovvero popolo) e aveva in cima una bandiera rossa simbolo dei lavoratori. Il 1° maggio era diventato la festa dei lavoratori con una forte impronta sindacale che, soprattutto in queste contrade romagnole, ha finito per assumere forti valenze politiche, nel giorno della festa si svolgevano cortei di bestiame e di trattori, molti uomini portavano all‘occhiello un garofano rosso e si tenevano comizi al termine dei quali non mancavano vino e ciambella.
L'episodio che ha ispirato la data nella quale attualmente in molti Paesi del mondo si celebra la Festa del lavoro o dei lavoratori, avvenne a Chicago (Stati Uniti) il 1° maggio del 1886. Quel giorno, infatti, era stato indetto uno sciopero generale in tutti gli Stati Uniti con il quale gli operai rivendicavano migliori e più umane condizioni di lavoro: a metà Ottocento non era raro che i turni arrivassero anche a 16 ore al giorno e i casi di morte sul lavoro erano abbastanza frequenti. La protesta andò avanti per tre giorni e il 4 maggio culminò con una e propria vera battaglia tra lavoratori e agenti di polizia. Undici persone persero la vita in quello che sarebbe passato alla storia come il massacro di Haymarket.
Nella scelta della data si tenne conto proprio degli episodi di Chicago e si stabilì che la Festa del lavoro o dei lavoratori, si celebrasse il Primo Maggio e dal 1947 divenne ufficialmente festa nazionale italiana .
Legata al primo maggio vi era inoltre una curiosa tradizione che aveva origini ben più lontane, a quando si ornavano porte e finestre con rami di betulla per impedire alle formiche di entrare in casa. I nostri contadini si sono tramandati un originale metodo di lotta contro le formiche: nella giornata del 1° maggio, al mattino di buon’ora, raccoglievano ramoscelli di pioppo, ma anche di biancospino, di gelso, di olmo ed i fiori più diversi che poi legavano insieme alle porte e alle finestre e persino sul tetto della casa. Questa consuetudine aveva lo scopo di propiziare ed assicurare l’abbondanza dei raccolti e, contemporaneamente, di impedire l’ingresso in casa delle formiche o di nasconder loro la via della dispensa. Questo straordinario potere era attribuito in modo particolare ai rami di pioppo, poiché, sempre secondo la tradizione popolare romagnola, con questo legno era stata costruita la croce sulla quale morì Gesù Cristo.
A immortalare il tutto vi è una bella canta del 1910 scritta da Aldo Spallicci e musicata da Cesare Martuzzi.
LA MAJÈ LA MAGGIOLATA
Dop un sonn c’u n’ fneva mai Dopo un sonno che non finiva mai
la campagna la j è ‘d fèsta la campagna è in festa
e e’ mi gal alzend la cresta e il mio gallo alzando la cresta
l’à cantè: chirichichì! ha cantato chirichichì!
Tu la rama la piò bèla, Prendi il ramo, il più bello,
strapa i fiùr ch’it piis a te strappa i fiori che piacciono a te
spiana come par un re sistema come per un re
al finestar dla mi cà. le finestre della mia casa.
Tu la bdòla la piò bèla Prendi il pioppo, il più bello
strapa i fiur ch’it piis a te strappa i fiori che piacciono a te
che al furmigh al n’à d’antrè che le formiche non devono entrare
a magnèr int la mi cà… a mangiare in casa mia...
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