di Piero Maroni
L’11 novembre si festeggia San Martino. Nata come festa di carattere religioso per rendere omaggio al santo vescovo di Tours, si è poi trasformata in una ricorrenza di carattere folcloristico che nel nostro paese si identifica con l’estate di san Martino, il vescovo di Tours, uno dei Santi del Medioevo più venerato, particolarmente in Francia.
Nacque nel 316 e fin da giovanissimo venne avviato alla carriera militare dal padre, un militare che lo chiamò Martino proprio in onore a Marte, dio della guerra. L’episodio che cambiò definitivamente la sua vita narra che in una delle ronde notturne invernali, incontrò un mendicante infreddolito e non avendo altro da offrirgli, tagliò con la spada il suo mantello di lana regalandogliene la metà.
A notte fonda, durante il sonno, ebbe una visione in cui Gesù raccontava agli Angeli che il soldato Martino lo aveva riparato dal freddo e ricordò queste parole: “Ecco Martino il soldato romano che non è battezzato, egli mi ha vestito”.
Quest’episodio, stando alla leggenda, segnò molto la vita di Martino tanto che durante la Pasqua del 339 si fece battezzare, abbandonò le armi e divenne monaco, fondando nei pressi di Poitiers una comunità dedita alla preghiera e praticò un’intensissima attività pastorale, tanto da divenire presto conosciuto in tutta la Francia e talmente amato che un’acclamazione popolare lo elesse vescovo di Tours. Quando morì, l’ 8 novembre del 397, le due città di Tours e Poitiers, si contesero le spoglie del vescovo, che furono però trafugate dagli abitanti di Tours, i quali ne celebrarono il rito funebre tre giorni dopo, ovvero l’11 novembre, che divenne pertanto la data ufficiale in cui onorare il Santo.
Anche questa festa cristiana si è sovrapposta ad una ricorrenza pagana, l'11 novembre segnava la fine dei festeggiamenti relativi al capodanno celtico che iniziava tra il 31 ottobre e il 1 novembre, per cui, come per altre feste evidenziato, permangono usi e costumi che si riferiscono ad un tempo remoto.
Un vecchio proverbio recita. “Per San Martino ogni botte è vino” per via dell’usanza di aprire le prime botti di vino novello.
Difatti dopo la conclusione di tutti i lavori agricoli e terminata la raccolta dei frutti, la preparazione delle scorte e le semine autunnali, è oramai giunto alla fine anche il processo di vinificazione. Per lo stesso motivo ancor oggi per san Martino si mangiano castagne e si beve il vino appena spillato, vino rosso o, come si dice in Romagna, vino nero, vale a dire Sangiovese o anche Cagnina dolce, per accumulare calore e vigore che simbolicamente verranno sprigionati nella nuova stagione agricola.
Un tempo l'anno lavorativo dei contadini terminava agli inizi di novembre, dopo la semina del grano che si voleva fosse già finita entro la data della festa per far sì che all’arrivo del freddo il seme già fosse sotto terra: “A San Martino sta meglio il grano al campo che al mulino”, recitava un proverbio. Chi infatti seminava dopo questa data avrebbe potuto avere un raccolto misero.
Questo era anche il giorno in cui scadevano i contratti di mezzadria e qualora il datore di lavoro, proprietario dei campi e della cascina, non avesse rinnovato il contratto con il contadino per l'anno successivo, questi era costretto a trovare un nuovo impiego altrove. All'epoca, in assenza di efficienti mezzi di trasporto, il lavoro era organizzato in modo tale che il contadino abitasse sul luogo di lavoro in un'abitazione messa a disposizione dal padrone del fondo agricolo. Un cambio di lavoro comportava quindi un trasloco per il contadino e la sua famiglia. La data scelta per il trasferimento, per tradizione e per ragioni climatiche (estate di San Martino), era quasi sempre l'11 novembre e di qui il detto “fare San Martino”.
Giorno importante per i contadini di un tempo perché, come detto, segnava in un certo senso anche la fine di un anno di lavoro, era il giorno in cui si chiudeva l’annata agricola e coi proventi racimolati ci si poteva permettere la partecipazione alle fiere più importanti dove si acquistava, fra l'altro, il vestiario pesante per fronteggiare l'imminente inverno, maglie e mutande lunghe di calda lana. Superfluo dire che quella di Santarcangelo era, e rimane, una delle più frequentate di Romagna e non solo.
Tra i piatti tipici di questo periodo quelli a base di carne di maiale erano assai diffusi perché la tradizione voleva che i contadini, in occasione della fine dei contratti agricoli, pagassero l’affitto della terra al padrone in parte con la carne dei maiali che allevavano e macellavano proprio durante i giorni dell’estate di san Martino che, per via del clima mite, permetteva una buona lavorazione delle carni. Se però il padrone non chiedeva al contadino di rimanere, significava che doveva cambiare casa, da qui il detto “fare san Martino”. (continua)
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