Seconda puntata con le epigrafi nei cimiteri, raccolte dalla scrittrice sammaurese Franca Fabbri.
Un capitolo a parte meriterebbero i nomi: dagli Onofri, ai Guglielmi, ai Severini, dalle Gertrudi, alle Zaffirie e Colombe, ai Maicol, Samante, Katie, Gessiche (sic!). I primi ormai caduti in disuso, gli altri d’importazione.
Nei cimiteri di paese, puoi ancora ritrovare vecchie tombe con incisi versi poetici a volte enigmatici ed inquietanti, come:
“Dove mi porti mai, dove mi porti?
Per te, son morti i vivi e vivi i morti?
Non temi l’onde e l’infuriar dei venti,
gli scogli, tu non temi.
Gli occhi hai spenti”.
Oppure: “Nel sonno delle membra resti fedele il cuore”.
O: “Come fummo, siete. Come siamo, sarete”. ( Attenti alla minaccia!)
C’è il ricatto: “Questo monumento ponevano nella dolce speranza che la memoria delle materne virtù, dai nipoti avesse ricambio di preghiere e di affetto”. ( Chissà come è andata? )
A volte ci sono cenni geografici:
“Tutta la valle ebbe un fremito di dolorosa commozione…”.
Od astronomici:
“Ogni dì si leva il sol a oriente
un arcano futuro si fa luce
ogni dì tramonta ed…impotente
ti lascia…eppur avanti ti conduce!”
C’è uno che si rammarica:
“Qui mi stò
tolto da morte immatura
agli amplessi”.
Spesso sono riportate notizie e ragioni della morte: -febbre puerperale- -diuturna infermità- barbaramente uccisa dal proprio marito- Anche l’ora: di sera.
Il dolore per la perdita di una persona amata ha sempre suggerito espressioni di cordoglio, degne sempre di rispetto e considerazione, al di là dello stile, della forma, del contenuto. (2-Continua)
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