di Piero Maroni
Un giorno Gesù vide Andrea mentre con Pietro, suo fratello, pescava nel mare di Galilea e disse loro: « Venite dietro di me e vi farò pescatori di uomini »; e quelli lasciate le reti lo seguirono. Da quel giorno il nostro Apostolo non abbandonò più il suo Maestro.
Dopo la Pentecoste si dice abbia predicato il Vangelo nella regione dell’Acaia in Grecia, ma a contrastare la sua attività sorse il superbo console romano Egea che, geloso del potere e timoroso di spiacere all'imperatore, cominciò a perseguitarlo fino a ordinarne la morte tramite la crocifissione nella città di Patrasso. Si sa che Andrea venne legato e non inchiodato su una croce latina (simile a quella dove Cristo era stato crocifisso), ma la tradizione vuole che l'apostolo sia stato crocifisso su una croce a forma di X e comunemente conosciuta con il nome di "Croce di Sant'Andrea"; questa venne adottata per sua personale scelta, dal momento che egli non avrebbe mai osato eguagliare il Maestro nel martirio.
È patrono della Chiesa ortodossa. Sant'Andrea apostolo si festeggia il 30 novembre nelle Chiese d'Oriente e d'Occidente ed è festa nazionale in Scozia. Denominato secondo la tradizione ortodossa Protocletos o il Primo chiamato, perché fu il primo tra i discepoli di Giovanni Battista ad essere chiamato dal Signore Gesù presso il Giordano. Nacque a Betsaida e morì a Patrasso il 30 novembre del 60. È patrono dei pescatori, visto che lui stesso era un pescatore.
PER SANT'ANDREA IL CONTADINO AMMAZZA IL SUINO
(Par sandravilòin e' cuntadòin l'amaza e' bagòin)
C'era una volta..., ma non è una favola, è la pura verità, nella casa contadina di questa parte di Romagna, un microcosmo di vita autentica, dove ogni persona, cosa o animale, avevano una loro ben definita funzione a seconda dell'alternarsi delle stagioni e dei bisogni.
Buoi e mucche, gli animali da lavoro e da latte, nella stalla; polli, galline e galletti, per i bisogni alimentari e le uova, nel pollaio; poco distanti i conigli, il cibo per i giorni di festa, stretti nelle stie; attorno casa e nella capanna, il gatto per la caccia ai topi; in un angolo dell'aia, legato alla catena, il cane, la fedele guardia per abbaiare ai ladri e agli intrusi e, nel porcile, il maiale, la riserva di carne per un anno intero, perché “il maiale riempie la casa”(e' bagòin l'impines la caèsa).
A preparare il porcile si iniziava ai primi di febbraio come insegnava il detto: “Prima di acquistare il maiale prepara il porcile” (Pròima 'd cumpraè e' bagòin prepaèra e' purzoil).
Allora lo si disinfettava con la calce viva dal soffitto fino al pavimento, fino a che non diventava tutto bianco. Poi si approntava un giaciglio di paglia fresca, quella dell’ultima trebbiatura, ebbene sì, veniva ad abitare l'inquilino nuovo ed era cosa buona fargli una bella accoglienza!
Si andava a comperare il maialino da chi allevava la scrofa da riproduzione e non superiore ai 20-25 chili, un lattonzolo già castrato (e' latòun). E non bisognava scordarsi del detto popolare: “Prima di comprare il maialino, guarda alla scrofa” (Pròima 'd cumpraè e' baganin, guaèrda ma la tròia).
Di solito se ne allevavano tre: uno per il padrone del fondo, uno per la famiglia e un terzo per venderlo.
I maiali della Torre. (I bagòin dla Tòra)
“I suini esistenti in tenuta Torre sono di razza romagnola qui nati e allevati. Hanno manto nero bruno, orecchie lunghe, pendenti, testa piuttosto larga, gambe robuste e facilissima attitudine all'ingrasso, tanto che questi maiali all'età di 18 mesi arrivano a pesare anche 300-350 chilogrammi. Ogni anno si vendono dai 100 a 120 maiali grassi, alcuni de' quali, come si disse, raggiungono anche il peso di 3 quintali e mezzo. I maiali sono ingrassati a tutte spese del colono, con granoturco, orzo, semola, patate, ecc..., il tutto somministrato in zuppe. Dalle 31 scrofe che si tengono in Tenuta, ogni anno si ritraggono da 200 a 250 maialetti che si vendono dopo aver raggiunto l'età di 3 a 4 mesi a L. 20 circa ciascuno. I due verri della razza della Tenuta servono a coprire con un tassa di monta di L.2, le scrofe dell'azienda, nonché quelle dei circonvicini possidenti.” (Leopoldo Tosi, 1891).
In questo territorio, dove esisteva una selva che giungeva fino al mare ed era piena di querce che fornivano ghiande e radure d'erba, allevare i maiali era facilissimo, c'è un antico scritto che racconta come si procedeva in quei giorni lontani nel tempo:
“Nel gennaio 1443 Sante di Giovanni di Donegaglia vende a Parente del fu Melletto e a Benedetto Nardi, entrambi di GIOVEDIA, centum porcos serbatorios, ossia 100 porcellini da ingrasso, procurati nel territorio di Fano. Al termine dell'allevamento, metà resteranno a costoro e gli altri 50 verranno riconsegnati al suddetto Sante.”
La gente di San Mauro invece il maiale lo teneva dietro casa e lo lasciava libero di gironzolare a suo piacere e così si vedevano spesso questi animali andare a spasso per le stradine del paese, razzolare sopra le tombe dei defunti nel cimitero a quel tempo collocato quasi al centro del paese dietro la chiesa e mangiare tutto ciò che capitava.
Ma venne un giorno che il sindaco di allora, per porre un freno a questa pessima abitudine, mise una cospicua multa ai proprietari dei maiali se non li rinchiudevano nei porcili. Da rilevare che a Ravenna la legge stabiliva che se un individuo trovava un maiale in giro per la città, lo poteva trattenere, diventava suo.
Ma ritorniamo nei tempi più prossimi ai nostri. Era una festa per i bambini della casa quando il capofamiglia tornava con maialetti: carnagione rosea, docili, dall'espressione simpatica e quasi sorridente, spesso venivano lasciati liberi di gironzolare intorno casa così da divenire in breve tempo dei compagni di giochi, come fossero dei cagnolini, sarà per questo che si usava dire: “ I maiali e i bambini dei contadini sono belli solo da piccini” (I bagòin e i burdel di cuntadòin j è bel snò da znòin).
Durante i primi mesi la scelta del cibo a loro destinato non era particolarmente scrupolosa né costosa: scarti dell’orto, frutta fradicia e avanzi di cucina. I suini sono animali onnivori, mangiano di tutto, la loro dentatura è quindi adatta a masticare, strappare e sminuzzare gli alimenti. Se liberi di pascolare, si dedicavano alla ricerca di radici, semi, frutti, foglie, tuberi e anche insetti e per far ciò annusavano, grufolavano e scavavano dappertutto.
Gran parte del loro tempo e della loro vita la trascorrevano però nello stalletto: “I maiali stanno bene nel porcile” (I bagòin i sta ben 't 'e purzoil), si diceva, ma molti detti, nascevano per analogia coi comportamenti censurabili dell'uomo: “Quando il maiale è sazio, capovolge il secchio” (Quant che e' bagòin l'è pin, l'arborta la caplèta), o “L'avaro è come il porco, è buono solo dopo che è morto” (L'avaèri l'è cmè e' porch, l'è bon sno dòp ch'l'è mort) e ancora “Tu sei indietro come la coda del maiale” (Tè t ci indrì cmè la còuda de' bagòin), “ A fare del bene a te, è come dare la caramella al maiale” (A faè de' ben ma tè, l'è cmè daè la caramèla me' porch), “Che bella ragazza, è come il maiale, non c'è niente da buttare via” ('d fata ragaza, la è cmè e' bagòin, un gn'è gnent da buté vì), “Sei come la scrofa dei Sasselli, che ne ha partoriti tredici e se n'è mangiati quattordici” (T ci cmè la scròva 'd Sasèl, ch'l'à na fat trègg e la s'n'è magné quatorgg), pensando a uno che aveva speso più di quanto guadagnato. E altri ancora ce ne sarebbero.
Bisognava fare molta attenzione alla salute del maiale, doveva crescere sano e robusto e per questo bisognava accudirlo ininterrottamente e preservarlo dalle malattie, dai parassiti, dal freddo e dal caldo, fargli sempre trovare acqua e preparare il pastone cotto in un grande paiolo che gli veniva poi servito due volte al giorno (la broda) e sperare che non si comportasse “come il maiale dei Semprini che dava contro alla casa” (cmè e' bagòin 'd Semprini che deva còuntra ma la caèsa), ohi, mangiava, mangiava, ma non ingrassava ed era oramai tempo che si vendesse.
Solitamente queste mansioni erano di competenza della “azdora” (l'azdòura) o, e nelle case contadine ce n'era quasi sempre uno, dello zio scapolo.
Se era freddo, bisognava aggiungere paglia al giaciglio, se era caldo, rinfrescarlo con acqua o tenerlo all'ombra, se c'era del fango nei dintorni, lasciare che si ruzzolasse ben, bene, così si proteggeva dalle mosche e dai parassiti. Recitava un proverbio: “Quando il maiale ha il pelo bruciacchiato, o ha fame o è ammalato” (Quant che e' bagòin l'à e' pòil brusé, o ch'l'à faèna o ch'l'è malaè). In realtà non era cosa frequente che il maiale si ammalasse, ma se per caso fosse accaduto, non c'era dubbio che gli avevano fatto il malocchio, allora si diceva che bastava tagliargli un pezzo d'orecchio o di coda, farlo bollire e poi gettarlo nel letamaio.
E più pastone mangiava e più ingrassava e quando giungeva a pesare 120-130 chili significava che il giorno della sua macellazione (e' spusaloizi de' bagòin) era giunto, dal 30 novembre, ricorrenza di sant'Andrea e, normalmente, fino al 17 gennaio, festa di Sant'Antonio Abate, ma anche più avanti, ogni giorno era adatto perché la temperatura si era fatta fresca e la carne ben si conservava. E su questa data tutti convenivano: “Per Sant'Andrea il contadino ammazza il suino” (Par Sandravilòin e' cuntadòin l'amaza e' bagòin) e in modi più o meno simili gli stessi proverbi erano diffusi in altri territori di Romagna“Par Santandarien u s'amaza e' ninen”.“Par sant'Andrì, ciapa e' baghein e fal rugì”.
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