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di Piero Maroni

BefanaEpifania deriva dal greco “tà epiphan(e)ia”, e significa “manifestazione, apparizione di divinità”; per i cristiani indica la visita dei Re Magi a Gesù, ossia la visione della manifestazione di Dio agli uomini come Messia da bambino.

Con il passar del tempo l’Epifania finì per ricordare solo la venuta e l’adorazione dei Magi ma la successiva corruzione dialettale della parola Epifania in Befan(i)a e il variare della religione, finì per creare la Befana.

La Befana

È nell’immaginario collettivo un mitico personaggio con l’aspetto da vecchia donna magica, mezza strega e mezza fata che vola a cavallo della sua scopa, e che prima di sparire lascia doni ai bambini buoni la notte tra il 5 e il 6 gennaio, cenere e carbone invece ai cattivi. Nella cultura italiana attuale, la Befana è vista come una sorta di Nonna buona che premia o punisce i bambini. I buoni riceveranno ottimi dolcetti e qualche regalino, ma quelli cattivi solo il temutissimo carbone, che simboleggia le malefatte dell’anno passato. Il potere psicologico della Befana sui bambini è quindi molto forte ed i suoi aspetti pedagogici non vanno di certo trascurati.

 

 

 Non molto tempo fa, e qualcuno lo fa ancora, nelle case si aspettava la Befana appendendo al camino una calza di lana fatta a mano con i ferri. Di notte scendeva la befana a riempirla e al mattino nella calza si trovava poca roba: qualche mandarino, caramelle di orzo fatte in casa, castagne, noci e un po’ di frutta secca; i bambini sapevano che dovevano essere buoni almeno due mesi prima della festività, altrimenti avrebbero ricevuto carbone, cenere, cipolla, aglio e carote.

  La sua origine si perde nella notte dei tempi, discende da tradizioni magiche precristiane e, nella cultura popolare, si fonde con elementi folcloristici e cristiani.

 I romani celebravano l’inizio dell’anno con le “Sigillarie”, feste in cui ci si scambiavano doni in forma di statuette dette appunto sigilla. Le Sigillarie erano attese soprattutto dai bambini che ricevevano in dono i sigilla in forma di bamboline e animaletti in pasta dolce.  

  Tali sovrapposizioni diedero origine a molte personificazioni diverse che sfociarono, nel Medioevo, nella attuale Befana, una vecchia che porta i doni in ricordo di quelli offerti a Gesù Bambino dai Magi.

  Secondo il racconto popolare, i Re Magi diretti a Betlemme per portare i doni a Gesù Bambino, non riuscendo a trovare la strada, chiesero informazioni ad una vecchia. Malgrado le loro insistenze affinché li seguisse per far visita al piccolo, la donna non uscì di casa per accompagnarli. In seguito, pentitosi di non essere andata con loro, dopo aver preparato un cesto di dolci, uscì di casa e si mise a cercarli, senza riuscirci. Così si fermò ad ogni casa che trovava lungo il cammino, donando dolciumi ai bambini che incontrava, nella speranza che uno di essi fosse il piccolo Gesù. 

  C'è chi sostiene che è vecchia e brutta perché rappresenta la natura ormai spoglia che poi rinascerà e chi ne fa l'immagine dell'anno ormai consunto che porta il nuovo e poi svanisce. Il suo aspetto laido, rappresentazione di tutte le passate pene, assume così una funzione apotropaica, capace cioè di allontanare gli spiriti maligni e lei diventa figura sacrificale e a questo punto può ricollegarsi all'usanza di bruciarla.  

  Dal XIII al XVI secolo la Befana non è ancora una persona ma solamente una festa, una delle più importanti e gioiose dell’anno. Nel tardo 1500 si comincia a parlare di Befane come figure femminili che vanno in giro di notte a far paura ai bambini. In seguito la Befana diventa, come s'è detto, una benefica vecchina che, a cavallo di una scopa, porta doni nella dodicesima notte dopo il Natale e con il suo sacco entra in casa attraverso la cappa del camino. 

  Il camino è la sede del fuoco, il punto più vivo della casa, è il focolare che rappresenta il fulcro della domesticità e in alcune credenze popolari, è visto come l’apertura al trascendente. Si crede così che le anime dei morti, di notte, ritornino in casa attraverso l’apertura del camino. La Befana, dunque, rappresentava gli Antenati morti e portava cibo in dono ai bambini e la sera di quella festa era la donna più anziana della casa che doveva preparare la cena per tutti e sempre in quella sera i fidanzati portavano castagne alle loro fidanzate come auspicio di fecondità dalla loro unione.

 La Befana coincide in altre tradizioni, con la rappresentazione femminile dell'anno vecchio,“la madre natura”, vecchia e rinsecchita e pronta a sacrificarsi per far rinascere un nuovo periodo di prosperità. Prima però di sparire offre i suoi ultimi doni sotto forma di dolcetti, simboli dei semi grazie ai quali riapparirà in primavera nelle vesti di una giovinetta.

  La storia della Befana pone quindi le sue radici all’interno di una tradizione culturale di matrice pagana, di superstizioni e aneddoti magici profondamente legati allo svolgersi dei cicli del mondo rurale. 

Le dodici notti

  Questo era anche il tempo detto della “Dodici notti”, il periodo cioè tra Natale e il 6 gennaio. Da questo periodo, che viene dopo la seminagione, dipendeva il raccolto futuro e quindi il grado di sopravvivenza nel nuovo anno.  

 Un’antica usanza contadina consisteva nel porre all’interno del camino un enorme ciocco di legno la vigilia o il giorno di Natale. Veniva scelto il ceppo più grande, più asciutto e più duro, poiché doveva scaldare il nucleo familiare consumandosi lentamente, e senza mai spegnersi, durante i dodici giorni che separano il 25 dicembre dal 6 di gennaio.
 La tradizione rurale segnava il passaggio tra il vecchio e il nuovo anno, i dodici magici giorni illuminati dal focolare domestico rappresentavano infatti i dodici mesi del nuovo anno nel calendario solare, scaldati e illuminati dal sole che ricomincia gradualmente a salire, per produrre buoni frutti e abbondanti raccolti.

  Durante queste notti i contadini credevano di vedere volare sopra i campi seminati fantastiche figure femminili per propiziare i raccolti futuri. Le guidava Diana, dea della fertilità legata alla vegetazione. La Chiesa in seguito condannò con estremo rigore queste credenze definendole frutto di influenze sataniche e Diana, da dea della fecondità, diventò una divinità infernale. Da qui nascono i racconti di vere e proprie streghe e dei loro voli e convegni a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno. Ma il popolo non smise di essere convinto che tali vagabondaggi notturni avvenissero, solo li ritenne non più benefici, ma infernali.    

 

 La notte magica dell'Epifania

  Anticamente, dunque, si pensava che la notte dell’Epifania fosse la notte magica per eccellenza, l’unica nella quale gli animali avevano il dono della parola perché si credeva che gli spiriti dei morti si incarnassero negli animali da stalla che acquisivano così allo scoccare della mezzanotte capacità divinatorie. Ancora comune è, infatti, il proverbio: “La notte della befana nella stalla parla l’asino, il bove e la cavalla” o anche “La nòta dla Pasquèta e zcòr e’ coch e la zvèta” (La notte della Pasquetta parlano il cuculo e la civetta).

  Già Michele Placucci, forlivese e studioso del folklore romagnolo, annotava, sotto l’Epifania, questo elemento caratteristico del nostro folklore: “Giornata di grande allegria si è il giorno dell’Epifania, che viene da’ contadini celebrata festosamente. Alla vigilia di detta solennità governano senza risparmio le bestie bovine, e tutti gli animali sulla supposizione falsissima, che in quella notte parlino; affinché non abbiano a dir male né del padrone, né del loro custode.” (Usi, e pregiudizj de’ contadini della Romagna)

  Gli allevatori, nei giorni prossimi alla festività del 6 gennaio, accudivano i loro animali con estrema cura per paura che questi nella notte magica parlassero male dei loro padroni e annunciassero disgrazie. Ma soprattutto in quella notte bisognava stare molto attenti a non ascoltare le loro parole perché potevano portare avversità. Si racconta che un fattore voleva scoprire cosa dicessero i suoi animali in questa notte prodigiosa, allora dormì nella stalla dietro la mangiatoia dei buoi. A mezzanotte l’asino disse al bue di mangiare tanto, dato che l’indomani avrebbero dovuto lavorare molto perché avrebbero dovuto trasportare il padrone su di un carro al cimitero. Nel sentire queste parole, il fattore fu preso da una tremenda paura e a fatica giunse sulla porta di casa dove morì.

  Pare che anche a Lugo di Romagna sia successo qualcosa di simile, un' “azdòura” che a mezzanotte di quella notte magica si trovava nella stalla sentì uno dei suoi due bovi chiedere all'altro: “Tu sai quando morirà la padrona?”. E L'altro: “Ah, domani dobbiamo portarla a seppellire!”. E all'istante la poveretta cadde a terra fulminata.

(Continua)

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