Ultima puntata con la storia del rapporto tra Leopoldo Tosi e Giovanni Pascoli. Dalla prossima settimana il nostro collaboratore partirà con una nuova rubrica.
di Piero Maroni
Un secolo è trascorso dalla scomparsa di Leopoldo Tosi, nell'aprile del 1917 a 70 anni e nel pieno svolgimento della prima terribile guerra mondiale cessò la sua vita mortale e, malgrado lo scorrere del tempo, ancora oggi ci si occupa di lui e si studiano le sue opere.
È innegabile che l'area della sua popolarità si sia ristretta, ma l'interesse che suscitano le innovazioni che apportò durante la conduzione della grande tenuta dei Torlonia, ne fanno un pilastro nello studio dell'evoluzione dell'agricoltura, della vinificazione e dell'allevamento, ma anche la pluralità dei suoi interessi e lo stile di vita ne fanno un personaggio di grande rilievo non solo in questa parte di Romagna.
Attraversò tempi e momenti di difficile interpretazione, di contrasti laceranti, di forti tensioni politiche e sociali che egli gestì con autorevolezza e determinazione in virtù del suo studio e ingegno, fino a creare intorno alla sua persona un'aura carismatica che lo indusse ad imporsi come l'autentico “dominus” di quegli anni inquieti.
Fu senza ombra di dubbio una figura di grande spessore con molteplici responsabilità di governo e di guida e che, seppur incuteva attorno a sé un marcato timore reverenziale, non gli mancarono avversari convinti e facili denigratori.
D'altra parte si era allora nel cuore dello scontro sociale, il proletariato si stava organizzando intorno ai movimenti anarchici e al partito socialista e la lotta di classe diveniva l'imperativo categorico delle masse povere di ogni genere.
In questa contrapposizione il Tosi veniva ad assumere il ruolo dell'avversario contro cui indirizzare la battaglia per le rivendicazioni, il nemico da sconfiggere e per quanto lui stesso fosse consapevole delle ingiuste condizioni sociali ed economiche dei lavoratori e si adoperasse attivamente per cercare di aiutare i bisognosi, tutto questo veniva considerato paternalismo ed elemosina spicciola dalla parte a lui avversa, che, ad onor del vero, in questo territorio non aveva una base molto larga e se si fa eccezione per la contesa negli anni del periodo del medico Carbonetti, non aveva particolari evidenze di massa. E questo era senz'altro dovuto all'intelligenza e disponibilità del Tosi che, pur ricoprendo una posizione di privilegio, riusciva a comprendere le aspirazioni e i bisogni della povera gente e si sforzava di alleviarne le pene con generose donazioni che avevano come ritorno, rispetto e gratitudine nei suoi confronti così da smorzare i toni della lotta per le rivendicazioni.
Politicamente Tosi si riconosceva nella destra storica nata ai tempi del governo di Massimo D'Azeglio (1849) e del Conte Cavour (1852), e dopo l'Unità d'Italia divenuto il Partito Liberale Costituzionale (PLC), partito di ispirazione anticlericale ma che per combattere il massimalismo socialista era costretto ad allearsi coi clerico-moderati, ovviamente portatori dei valori del Cristianesimo. Anche il Tosi era considerato un incallito anticlericale e un po' mangiapreti, ma nella pratica quotidiana non disdegnava offrire un buon caffè o un bicchierino di Mistrà, un liquorino d'origine marchigiana a base di anice, al parroco di Bellaria che tutte le domeniche andava a celebrare la messa nella chiesetta della Torre.
La Torre a quei tempi brulicava di vita, da tutta Italia accorrevano Scuole d'Agraria, studiosi e operatori interessati alle pratiche colturali introdotte dal Tosi, sempre molto aperto alle conquiste della scienza e alle novità che il progresso tecnologico offriva, si videro nei poderi della tenuta i primi trattori a vapore, anche se per le loro dimensioni si rilevarono inutili in quanto impossibilitati a manovrare nei terreni così appoderati della tenuta, fu la Torre e l'abitazione dell'Ingegnere la prima ad illuminarsi di luce elettrica nel 1906, fu qui che si installò il primo telefono di questo territorio, come fu lui il primo a sostituire i cavalli con l'auto nei suoi viaggi, 159 se ne contavano in tutta la provincia di Forlì.
Un'attività frenetica la sua, preso da mille interessi e mille incombenze per una vita vissuta alla grande e di cui ne aveva piena consapevolezza, tanto che così scriveva in una accorata lettera a Pascoli: “[...] noi in mezzo alla vita materiale, fra le lotte politiche, perché oggi tutto si tratta a base di politica, fra le invidie degli inerti, le insinuazioni dei faccendieri imbroglioni, le malvagità dei disonesti, e la marchiana ignoranza dei più, spesso accoppiate alla malvagità, viviamo una vita sempre agitata quasi classificati fra i parassiti, mentre ormai, credi amico mio, mi accorgo, un po' tardi, di aver mancato ai doveri della mia famiglia, avendo pensato a prodigar tutto agli altri e nulla a lei durante una vita laboriosa e sudata[...]”.
Una vita difficile e complessa, ma che, senz'ombra di dubbio, Leopoldo Tosi visse alla grande.
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