di Piero Maroni
MITI E LEGGENDE DELL' ANTICA GRECIA
NARCISO
Narciso era figlio della ninfa Liriope e di Cefiso, divinità fluviale, questi innamorato di lei, un giorno aveva circondato la ninfa con le sue acque, la intrappolò e la avvolse possedendola contro la sua volontà.
Da questa unione nacque un bambino bellissimo chiamato Narciso, tanto bello da far preoccupare la stessa madre che per questo si recò dall'astrologo Tiresia per avere ragguagli sul suo futuro.
Questi dopo aver consultato l'oracolo, le disse:“Narciso raggiungerà la vecchiaia se non conoscerà mai se stesso.”.
Gli anni passarono e Narciso divenne un ragazzo meraviglioso, bellissimo, tanto che non c’era abitante della città, uomo o donna, che non si fosse innamorato di lui; ma orgoglioso rifiutava ogni avance, sfuggiva il mondo e l'amore, preferiva trascorrere il tempo passeggiando da solo nelle foreste sul suo cavallo oppure andando a caccia di animali selvatici. Un giorno, mentre cacciava, sentì rimbalzare tra le gole della montagna una voce che si esprimeva in canti e risate.
Era Eco, la più incantevole e spensierata ninfa della montagna, una fanciulla bellissima ma chiacchierona e pettegola.
Zeus l'aveva assoldata per distrarre la moglie con le sue chiacchiere mentre lui era intento a tradirla. Scoperto l’inganno, la Dea condannò la ninfa a non poter più parlare, poteva solamente ripetere le ultime parole che udiva (l' “eco” per l’appunto).
Eco al solo vederlo, s'innamorò perdutamente di lui e gli si mostrò cercando di abbracciarlo.
Narciso, disgustato da questo gesto, allontanò la giovane malamente dicendole di lasciarlo nella sua solitudine e anche perché era tanto fiero e superbo della propria bellezza, che gli pareva cosa di troppo poco conto occuparsi di una semplice ninfa.
Non così era per Eco che da quel giorno seguì il giovinetto ovunque andasse, accontentandosi di guardarlo da lontano.
L'amore e il dolore la consumarono, a poco a poco il sangue le si sciolse nelle vene, il viso le divenne bianco come neve e, in breve, il corpo della splendida fanciulla divenne trasparente al punto che non proiettava più ombra sul suolo.
Affranta dal dolore si rinchiuse in una caverna profonda ai piedi della montagna, dove Narciso era solito andare a cacciare. E lì con la sua bella voce armoniosa continuò a invocare per giorni e notti il suo amato.
Inutilmente perché Narciso, che pur udiva l'angoscioso richiamo, non venne mai.
Della ninfa rimase solo la voce, che visse eterna nella montagna solitaria e da allora essa risponde accorata ai viandanti che chiamano.
Narciso non ne fu affatto addolorato e continuò la sua vita appartata, incurante del dramma della giovane.
Fu allora che intervennero gli dei per punire tanta ingratitudine.
Incaricarono Nemesi, la dea della vendetta, di castigare Narciso e fu così che mentre il giovane si trovava per boschi, si imbatté in una pozza d’acqua.
Incuriosito, si accucciò per vedere meglio e rimase colpito dall’immagine che questa rifletteva: un giovane bellissimo, la cui bellezza era oltremodo superiore a quella comune.
Non si rese conto che quella riflessa era la sua immagine, rimase così a lungo presso la pozza senza accorgersi che i giorni scorrevano inesorabili dimenticandosi di bere e di mangiare, finché la morte non lo raggiunse.
Quando le ninfe andarono a prelevare i suoi resti per arderli sulla pira, il corpo non c'era più, al posto suo erano cresciuti dei fiori splendidi, bianchi e gialli, quelli conosciuti oggi come fiori del narciso.
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