di Piero Maroni
Il 25 novembre il calendario liturgico ricorda santa Caterina d’Alessandria, vergine e martire. Caterina era una bellissima fanciulla di origine regale, filosofa di grande sapienza e di grande eloquenza, vissuta ad Alessandria d'Egitto fra il 287 e il 305 d.C., che si oppose all'imperatore Massimino Daia, crudele tiranno che governava l'Egitto e la Siria e che osteggiava la liberalizzazione del cristianesimo, imponendo ai suoi sudditi sacrifici agli dei.
L'imperatore, invaghitosi della bellissima giovane, che lo aveva affrontato invitandolo a convertirsi, convocò 50 filosofi affinché la convincessero a sacrificare agli dei ma fu invece Caterina con la sua eloquenza a convertire loro al cristianesimo. I filosofi furono tutti giustiziati e Caterina venne fustigata, affamata e imprigionata.
Anche la moglie dell'imperatore che, scortata da 200 soldati, la visitò in prigione fu da Caterina convertita al cristianesimo con tutta la sua scorta e tutti, per ordine dell'imperatore, vennero giustiziati.
Massimino la blandì in ogni modo offrendole anche il matrimonio e il ruolo di prima dama della corte ma essendosi dimostrata Caterina irremovibile, ordinò che fosse sottoposta al supplizio delle ruote. Ma le quattro ruote uncinate che dovevano straziarne il corpo, miracolosamente si frantumarono non appena toccarono le sue tenere carni. Infine venne decapitata con la spada e gli angeli ne trasportarono il corpo sul Monte Sinai dove l'imperatore cristiano Giustiniano fece edificare un monastero a lei dedicato.
Nel giorno dedicato a santa Caterina in Romagna si attendeva la burrasca, che poteva tardare o anticipare di qualche giorno, ma non mancava mai, tanto che recitava il proverbio:
Par santa Cataròina o ch’e piov o ch’e nòiva o ch’e bròina o ch’e toira la curòina o ch’u j è la paciaròina.
Per santa Caterina o piove o nevica o brina o tira il libeccio o c’è la fanghiglia.
Per la devozione verso la Santa, anche nel calendario della tradizione popolare romagnola il 25 novembre era una data che aveva una certa rilevanza, legata com'era a fiere, usanze e proverbi. Era fra l'altro, lo stesso giorno in cui i contadini riconducevano le bestie nella stalla: iniziava l'inverno che si riteneva terminasse il 25 gennaio. Era quello il giorno in cui si potevano accendere le stufe negli uffici e nelle scuole.
I preparativi del Natale cominciavano il 25 novembre, esattamente un mese prima, quando si provvedeva a mettere da parte un bel "ciocco" di legno, possibilmente di quercia (albero sacro a Marte e Giove) da far ardere per tutta la notte di Natale. In prossimità della festa si chiedeva al parroco un poco di acqua benedetta, quella dell'acquasantiera, con la quale si spruzzava il ciocco prima della sua accensione.
Una volta nel forlivese, dove si teneva, e si tiene ancora, la fiera di Santa Caterina, c'era da parte dei mariti la tradizione del torrone da regalare alle donne maritate.
Invece nel ravennate ai bambini venivano offerti biscotti di pastafrolla a forma di galletto e di bambolina (la caterinetta) alle bambine.
Il poeta romagnolo Aldo Spallicci in una sua poesia del 1922 ricorda i dolcetti che per tradizione venivano offerti ai bambini:
Par Sânta Catarena
e gal e la galena,
la bëla bambuzena,
turon d'amandurla;
pianzì burdel s'avlì di brazadel.
(Per Santa Caterina il gallo e la gallina, la bella bambolina, torrone di mandorle; piangete bambini se volete le ciambelline.)
Un po' più tardi anche il ravennate Miserocchi nel 1927 così testimoniava:
“In questa ricorrenza numerosi rivenditori ambulanti di dolci confezionati in forma di gallo, o gallina o di bambola sciamavano per le vie della città e dei sobborghi gridando, a stimolo della gola dei ragazzi: “E gall e la galena...e la bela bambuzena... turon d'amandula! Pianzì burdel s'an n'avì i baiocc! Pianzì pianzì burdel s'avlì che la mama l'av pega i brazzadel!” (Il gallo e la gallina... e la bella bambolina... torrone di mandorla! Piangete bambini se non avete i soldi! Piangete piangete bambini se volete che la mamma vi paghi le ciambelline!).
La tradizione di regalare biscotti di pastafrolla a forma di galletto per i maschi e di gallinelle e bamboline per le femmine è ancora in uso a Ravenna e non c’è forno della città che, in questi giorni, non ne faccia bella mostra nelle sue vetrine, biscotti generalmente decorati con zucchero colorato e pastigliette dolci.
Da dove derivi questa antica tradizione popolare, non è dato con esattezza saperlo, tuttavia, l’usanza di regalare dolci ai bambini, tipica delle feste solstiziali, nasconde la speranza di un rinnovamento. Il dono di questi biscotti rappresenta l’augurio della vita, umana, vegetale ed animale, che si rinnova e si rigenera al termine della stagione invernale che avrebbe inizio proprio il 25 novembre. Il gallo simboleggia da sempre il risveglio, in quanto effigie di luce, la gallina è auspicio di fecondità, mentre la bambolina rappresenta la Santa che avrebbe protetto le bambine a cui si faceva dono.
Par santa Cataròina impines e’ sach dla faròina.
Per santa Caterina riempi il sacco della farina.
Un mòis dninz Nadaèl e un mòis dòp Nadaèl l’è inveran naturèl.
Un mese prima di Natale e un mese dopo Natale è l’inverno naturale.
Par santa Cataròina toira fura la fasòina.
Per santa Caterina tira fuori la fascina.
Par santa Cataròina la bes-cia int la casòina.
Per santa Caterina la bestia nella cascina.
Par santa Cataròina la nòiva la s'avsòina.
Per santa Caterina la neve si avvicina.
Par santa Cataròina al zurnaèdi al s' curta un pas 'd galòina.
Per santa Caterina le giornate si accorciano un passo di gallina.
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