di Piero Maroni
In questa parte di territorio il giorno dedicato a san Lorenzo è divenuto tristemente famoso per l’omicidio compiuto ai danni di Ruggero Pascoli, evento che sarà poi fonte d'ispirazione poetica per il figlio Giovanni che ne eternerà il dramma in alcune liriche che raggiungono, ancora oggi, le vette massime della grande poesia, in particolare: “X agosto” e “La cavalla storna”.
Il grande critico letterario Cesare Garboli, una volta che venne alla Torre per una conferenza, ebbe a dire: “L'omicidio di Ruggero Pascoli è il più affascinante giallo della letteratura italiana, tenetelo sempre vivo!”.
I lettori più attenti saranno già informati su alcune banalizzazioni che hanno avuto un discreto clamore sui giornali e media locali, non val la pena commentarle in quanto prive di un qualsiasi riscontro e logicità, noi seguiamo la via tracciata da approfondite ricerche e documentazioni accertate, convinti, nella migliore delle supposizioni, che tutto il resto sia frutto di menti fantasiose e null'altro.
Quella mattina del 10 agosto 1867, Ruggero Pascoli, amministratore della tenuta Torre per conto dei Torlonia, aveva ricevuto un dispaccio che lo invitava a recarsi a Cesena dove sarebbe giunto da Roma Achille Petri, un inviato del principe Alessandro per notificargli la nomina formale alla direzione della tenuta.
Ruggero partì da solo dalla Torre con un calesse tirato da una cavalla dal mantello pezzato bianco e grigio (di qui la definizione: storna) sul quale avrebbe poi dovuto prendere posto col proprio bagaglio, l'ospite annunciato che avrebbe soggiornato per alcuni giorni presso la Torre per il disbrigo di alcune questioni, fra cui si ipotizzava la ufficializzazione della sua nomina ad amministratore che ancora mancava.
La prima sosta la fece a Gatteo, dove quel giorno si teneva la fiera di san Lorenzo, patrono del comune e, dopo aver acquistato due bambole per le figliolette, si recò alla stazione di Cesena ad attendere l’inviato.
L’attesa durò ore, ma fu vana, l'atteso signore mai scese dai treni in arrivo e così nel tardo pomeriggio, quando fu certo che nessun altro treno sarebbe giunto in stazione, prese la via del ritorno, ma lungo la via Emilia nei pressi della villa di Gualdo, dalla folta siepe di cespugli che costeggiava la bianca strada, due sinistri figuri si materializzarono all'improvviso, uno di questi sparò due colpi col fucile da caccia che colpirono Ruggero in pieno viso e immediatamente la morte sopravvenne.
La cavalla continuò la sua corsa lungo la strada, entrò in Savignano dal borgo san Rocco e i primi ad accorrere e fermare il calesse furono l'avvocato Gino Vendemini, garibaldino, repubblicano e deputato al Parlamento e Giuliano Cacciaguerra, nipote di colui che molti riterranno il mandante della tragica imboscata.
Ai soccorritori non restò altro da fare che trasportare il corpo senza vita di Ruggero al vicino ospedale Santa Colomba dove, dopo averne accertato la morte, fu trattenuto in attesa delle esequie nella camera ardente, mentre qualcuno si incaricò di riportare cavalla e calesse a San Mauro, alla moglie Caterina che lo attendeva in ansia e con tristi presentimenti davanti alla casa di loro proprietà alla periferia del paese.
Si fecero indagini un po’ alla buona e con scarsa determinazione al termine delle quali il caso si chiuse senza che i colpevoli fossero identificati malgrado una contadina intenta a far erba e che aveva riconosciuto i due uomini armati di fucili dirigersi verso la via Emilia in direzione Gualdo, avesse fornito precise indicazioni agli investigatori.
A San Mauro in molti sapevano, nessuno parlò, ma con lo scorrere del tempo si consolidò una tacita sentenza popolare: Pietro Cacciaguerra di Savignano era il mandante, Paglierani Luigi, detto Bigeca, l'esecutore e Michele Dellarocca, detto Capilòina, il complice, entrambi di San Mauro. La motivazione era indicata nella bramosia del Cacciaguerra per il potere del Pascoli e nel volersi a lui sostituire.
Il Dellarocca piangendo e tremando pare confessasse il delitto ad un conoscente lo stesso giorno del fatto, del Paglierani si diceva addirittura se ne vantasse nelle osterie del paese.
Malgrado le tante evidenze, di tanto in tanto si avanzavano altre soluzioni, si indicavano gli assassini nei contrabbandieri del sale che, si diceva, attraversassero le terre della Torre per arrivare al mercato clandestino di San Marino, nella “società degli accoltellatori” sorta a Ravenna, ma allargatasi in Romagna, con l'intento di uccidere i potenti del tempo, soprattutto quelli che come Ruggero vendevano il frumento all'estero per accrescere i profitti e affamare così la povera gente di queste contrade.
Tante ipotesi, ma nessuna capace di reggere alla prova dei fatti o sostenuta da indizi probanti, intanto tutti gli esiti e i verbali delle ricerche delle forze dell'ordine erano misteriosamente spariti all'interno delle caserme stesse e ben presto il caso si chiuse senza nessun indiziato. Anzi no, uno ci fu, era chiamato “Fucecchia”, abitava a Cervia e si era autoaccusato dell'omicidio adducendo come pretesto il fatto di essere stato scoperto mentre trafficava illegalmente il sale, fu anche processato, ma si scoprì essere un ubriacone che per due soldi avrebbe venduto la propria madre e senza alcun elemento in grado di avallare le sue dichiarazioni.
Si dovrà giungere al 2012, quando grazie a meticolose ricerche negli archivi storici compiute da Rosita Boschetti, è stato possibile pervenire a qualche squarcio di verità, una verità assai più scomoda di quella da sempre prospettata e, soprattutto, assai più articolata di quanto si potesse pensare.
Ruggero Pascoli fu vittima di un complotto ordito ai suoi danni da un nutrito manipolo di individui ben organizzati e all'ombra di poteri così forti da poter garantire agli assassini l'impunità e senza dimenticare che a quei tempi per un delitto simile era in auge la pena di morte, perché allora gli omicidi erano una costante di quella società, si moriva anche per questioni di poco conto. Basti dire che qualche anno dopo il delitto Pascoli, un altro fattore della Torre, Silvestre Nanni, fu ucciso davanti alla sua abitazione per aver minacciato una famiglia contadina di sfratto, almeno così si dice un po' vagamente, perché nessuno su di lui compose poesie che ne eternassero la memoria.
Al tempo del delitto Pascoli, siamo negli anni successivi all'Unità d'Italia, il clima politico in Romagna è condizionato da un forte malcontento che mina pesantemente i rapporti col nuovo Stato, i repubblicani, che avevano sognato una Repubblica, si trovavano ad essere amministrati da una monarchia; la chiesa che aveva perso il potere temporale col referendum di annessione alla stato Sabaudo, come ripicca, alimentava l'astio verso i nuovi governanti; le forze dell'ordine viste dal popolo come ostili e nemiche erano da evitare, e così, come a volte accade in queste situazioni, venne ad instaurarsi un codice di giustizia personale o di gruppo.
Ed è in questo clima torbido e violento che Ruggero Pascoli si trova ad agire da una posizione di forte rilevanza per i molti e importanti incarichi che ricopre, e questa condizione lo porterà a scontrarsi con singoli individui, gruppi organizzati e poteri costituiti.
È scontro con Pietro Cacciaguerra intento a compiere speculazioni su compra-vendite di terreni coi Torlonia ed è scontro con gli aderenti al Partito Repubblicano locale (segretario ne era il Cacciaguerra citato) che non si riconoscono nello Stato italiano monarchico e considerano Ruggero un traditore visto che in gioventù era stato pure lui repubblicano.
I conflitti sono numerosi, l'uomo fermo e risoluto che non cede ai compromessi, diventa una persona scomoda a tanti ed in particolare ai Torlonia che non nascondono la loro insoddisfazione per la resa finanziaria della tenuta di San Mauro come si evidenzia in alcuni documenti reperiti non molto tempo fa.
Questa, forse, la direzione in cui andrebbero indirizzate le indagini, lo ebbe a dire anni fa in un “processo” d'agosto alla Torre, l'allora giudice Imposimato.
Ciò che ora si può valutare è il dato di fatto che la famiglia Torlonia era a quei tempi una delle più potenti d'Italia, aveva forti interessi economici in Romagna e sicuramente, come sempre capita in questi casi, invisibili rapporti e mani in pasta con tanti “poteri forti”, chi se non i Torlonia potevano avere la forza, le conoscenze e la possibilità di occultare prove evidenti per proteggere e garantire l'impunità ad esecutori di un delitto di cui si facevano i nomi persino nelle osterie?
Come si può facilmente dedurre, il mistero rimane ancora lungi dall'essere risolto perché il groviglio di interessi personali, politici ed economici che si era venuto a costituire intorno alla figura di Ruggero Pascoli fan di lui l'agnello sacrificale e se per i due esecutori si può averne la quasi certezza, così come è certo l'ambiente politico in cui si è organizzato il delitto, molto più complesso è individuare i mandanti, il Cacciaguerra è probabilmente uno di questi, ma altri e più potenti di lui lo hanno voluto e perseguito.
Da “Un ricordo” di G. Pascoli
Andavano e tornavano le rondini,
intorno alle grondaie della Torre,
ai rondinotti nuovi. Era d'agosto.
Avanti la rimessa era già pronto
il calessino. La cavalla storna
calava giù, seccata dalle mosche,
l'un dopo l'altro tutti quattro i tonfi
dell'unghie su le selci della corte.
Era un dolce mattino, era un bel giorno:
di San Lorenzo. Il babbo disse: "Io vo".
E in un gruppo tubarono le tortori.
Esse là nella paglia erano in cova
.....................
Il babbo
non tornò più. Non si rivide a casa.
Lo portarono a sera in camposanto,
lo stesero in un tavolo di marmo,
dissero, oh! sì! dissero ch'era sano,
e che avrebbe vissuto anche molti anni.
Ma uno squarcio aveva egli nel capo,
ma piena del suo sangue era una mano.
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