Ottava puntata con la rubrica di Rosita Boschetti, studiosa curatrice del Museo di Casa Pascoli. Al centro dell’articolo il mistero della morte di Erminia, il grande amore del giovane Pascoli.
di Rosita Boschetti
Nel corso della sua inchiesta sulla morte di Erminia, il primo amore perduto di Pascoli, il giornalista Michele Campana aveva raccolto numerose e preziose testimonianze. La prima, quella di Maria Vincenzi che ricordava l'ultima volta che aveva visto l'amica:
Oh! L’Erminia partì un mattino con suo padre per Rimini: e non tornò mai più. Non si è mai saputo con precisione quale fine facesse. La famiglia si limitò a dichiarare che era stata presa da un male che non perdona ed in breve tempo si era spenta. Fu uno schianto per tutti qui in paese. La sorte così dolorosa e misteriosa dell’Erminia Tognacci ha poi pesato su tutta la vita del Pascoli. Era un’altra fonda tragedia, che apriva un nuovo solco di dolore nell’animo del giovane, già così percosso dall’assassinio del padre.
Nel municipio di San Mauro, Campana aveva potuto accertare l’identità della ragazza, notando che nel foglio anagrafico era annotato che Erminia era morta a Rimini alle ore 14 del 9 aprile 1878, senza alcuna indicazione sulle cause della morte.
La seconda e fondamentale dichiarazione fu quella di Erminia Zoffoli, ormai priva della vista, intervista che il giornalista pubblicò successivamente, sempre sul 'Tirreno' del '39:
Si figuri – mi disse – che io abitavo in una di quelle casette, che sono state demolite per costruirvi la Casa del Fascio. Ero quindi a due passi, tanto dall’abitazione del Pascoli, che da quella dei Tognacci. Quante volte Giovannino entrò in casa nostra! Siccome mia madre aveva fama di essere la più brava del paese a confezionare la piada, Giovannino che ne era ghiottissimo, non si stancava mai di chiederne; ed anche quando da uomo già illustre tornava a S. Mauro, voleva sempre assaggiare quel “rude pane di Roma” come lo chiamò, confezionato da mia madre.
Deve sapere che l’Erminia Tognacci era la mia più intima amica. Eravamo della stessa leva. Portavamo lo stesso nome. Trascorremmo insieme gli anni dell’adolescenza fino alla sua morte.
Com’era fisicamente? - chiesi.
Bella! Proprio bella! Anzi una delle più belle creature della nostra terra. E’ vero che questi angeli sono destinati a tornare presto in cielo. Aveva compiuto uno sviluppo d’eccezione. A sedici anni era già alta, slanciata, elastica, che sembrava averne di più degli anni. Il suo viso era lungo, modellato bene come quello di una statua antica. La carnagione era pallida. I suoi occhi scuri profondi risaltavano di più sul bianco della carnagione ed erano in contrasto al biondo della massa dei suoi capelli, un biondo che tendeva al castano. Possedeva un carattere molto riflessivo, forse un po’ troppo mesto. Un presentimento?
Sapeva cantare a meraviglia con una voce squillante e ben modulata. Quando si metteva al telaio e cantava, sapeva suscitare echi dolci in tutta la strada. Non è a meravigliarsi se Giovannino, benchè avesse otto anni più di lei, se ne innamorò perdutamente.
E lei – domandai – ha qualche ricordo in merito a questo amore?
Noi, compagne un poco più sventate di lei, capirà, a sedici anni, le davamo la baia, canzonandola di quel suo amore per uno studente universitario, prossimo a diventar professore. Le facevamo comprendere che non doveva aver nessuna speranza: ma lei alzava le spalle, un po’ sdegnata, e ripeteva: “Mi vuol tanto bene! e poi mi parla in un modo che non saprei ripetere. Nessuno parla così!”.
Giovannino era un brunetto piuttosto sottile, con due baffetti ben neri; non era molto alto, aveva occhi penetranti e fattezze assai regolari. Non vestiva molto ricercato ed appariva piuttosto timido e scontroso. Preferiva le passeggiate per la campagna, piuttosto che starsene per la piazza o al caffè. Però era molto buono e sensibile, facile a commuoversi ed anche a piangere.
Secondo Erminia Zoffoli, la morte dell’amica era avvolta nel mistero. In paese si era diffusa la voce che lei fosse andata da suoi parenti che abitavano nella parrocchia di Cento e che là fosse stata colpita da tubercolosi. Anche un’altra sorella di Erminia, la piccola Eurosia, era stata colpita dal “mal sottile” morendo nel 1876, quindi tutti si erano convinti che sempre quella fosse stata la causa dell’improvvisa scomparsa di lei. L’ultima volta che l’amica la vide, era la festa di S. Antonio Abate, il 17 gennaio:
Faceva molto freddo e nelle strade c’era un po’ di neve; ed era festa per la benedizione delle stalle. L’Erminia mi venne a salutare prima della partenza. Io la seguii per vederla partire. Si accomodò sul calessino, accanto a suo padre “Vanena” e disse che si recava a Rimini per alcune spese. Ci scambiammo gridi di saluto e di augurio. Poi il calessino al trotto sparì oltre le ultime case di San Mauro. Fu quella l’ultima volta che io vidi il suo bellissimo viso, povera amica mia. (8 – Continua)
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